domingo, 31 de marzo de 2013

Il cuore pulsante delle parole





















Ci sono parole taglienti che feriscono come spade. Ci sono poi parole eccessive, che denotano mancanza di familiarità con gli altri oppure con il linguaggio stesso, come abiti pacchiani. Ci sono infine parole semplici che parlano al cuore. Ecco le parole con cui ho fatto gli auguri di Pasqua ai miei studenti:
Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Pietro non capiva nulla, rifiutava. Ma Gesù gli ha spiegato. Gesù –Dio– ha fatto questo! E Lui stesso spiega ai discepoli: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io».

E’ l’esempio del Signore: Lui è il più importante e lava i piedi, perché fra noi quello che è il più alto deve essere al servizio degli altri. E questo è un simbolo, è un segno, no? Lavare i piedi è: “io sono al tuo servizio”. E anche noi, fra noi, non è che dobbiamo lavare i piedi tutti i giorni l’uno all’altro, ma che cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci, l’un l’altro. A volte mi sono arrabbiato con uno, con un’altra… ma… lascia perdere, lascia perdere, e se ti chiede un favore, fatelo.

Aiutarci l’un l’altro: questo Gesù ci insegna e questo è quello che io faccio, e lo faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene.

Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi e pensiamo, ciascuno di noi pensi: “Io davvero sono disposta, sono disposto a servire, ad aiutare l’altro?”. Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo segno è una carezza di Gesù, che fa Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci.

(…) Avanti e non lasciatevi rubare la speranza. Capito? Sempre con la speranza avanti!

Sono state pronunciate dal Papa Francesco lo scorso giovedì, durante la celebrazione in coena Domini, rivolte ai ragazzi e le ragazze dell’Istituto Penale per minori “Casal del Marmo” di Roma. Parole schiette che lasciano allo scoperto i tesori dell’umanità. Spade nude che svelano il cuore pulsante della missione di Cristo, vivo ancora tra noi.

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Nell’immagine: “Incredulità di san Tommaso”, particolare, dipinto da Michelangelo Merisi da Caravaggio verso il 1600 (Bildergalerie Potsdam).

viernes, 29 de marzo de 2013

La condición humana. Reflexiones a partir de Bach
























Siempre he amado la bachiana “Pasión según san Mateo”. No sólo a causa de su música, sino también por sus textos poéticos, naifs incluso, a menudo tan próximos al bíblico Cantar de los Cantares. Tan cautivadores que uno se adhiere espontáneamente a su sentido espiritual. Junto con todos los que han cantado y amado esta música, podría decir también: «Cuando deba partir / no te separes de mi lado; / cuando tenga que sufrir la muerte / ¡sal tú entonces por mí!; / cuando los terrores más hondos / me cerquen el corazón, / líbrame de la angustia / por tu angustia y tu dolor.»

Así suena la novena estrofa del canto “Oh rostro lleno de sangre y heridas”, según el texto escrito por Paul Gerhardt (1607-1676); la melodía, en cambio, proviene de Johann Crüger (1568-1662). Ambos –texto y música– fueron empleados por Johann Sebastian Bach (1685-1750) en su “Pasión según san Mateo”, así como en la cantata “Mirad, subimos a Jerusalén” y en el Oratorio de Navidad.

Bach logra asombrarnos con las musicalizaciones –tan diferentes en registro– de esa única melodía. En la Pasión, texto y música son entonados por un sufriente pueblo que acompaña con íntimo dolor a Cristo en su bajada al abismo del sufrimiento; en el Oratorio expresan, entre percusión jubilosa y trompetas de triunfo, la dicha por el nacimiento del Salvador. Una melodía y dos sentidos contrapuestos.

Hay aquí una (aparente) paradoja en la que conviene reparar. En el film Tierras de penumbra (Richard Attenborough, 1993), C. S. Lewis alude a algo similar. Se refiere ahí a la dicha experimentada junto a su difunta esposa para mostrar las dos caras del amor: la tristeza de la inexorable pérdida formaba ya parte del gozo de tenerse el uno al otro; y la alegría de entonces forma parte de la tristeza de ahora. Se trata de la paradoja del amor.

Los caminos del amor encierran toda la dicha y todo el desgarro del mundo. Esa dialéctica teje la trama de la condición humana mientras nos hallamos en camino. La música y la poesía nos introducen en ese misterio. Cristo personifica el desafío de un amor incondicional y eterno, tierno y sin medida, que viene al encuentro del hombre en el abismo del desamor y de la muerte. «Tu boca me ha deleitado / con leche y dulces manjares; / tu espíritu me ha colmado / con incontables goces del cielo.»

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Artículo propio publicado en el diario Información, edición Elche / Baix Vinalopó (26/03/2013).En la imagen: "Descendimiento", por Caravaggio, hacia 1602 (Museos Vaticanos).

lunes, 18 de marzo de 2013

Parole, gesti e cenni

























L’attesa mai vista della fumata bianca di mercoledì scorso ha sfociato in una valanga mondiale di analisi, profili biografici e previsioni. Ma ciò che diventerà il pontificato di Francesco non è scritto. «La nostra origine ci condiziona», ricordava il mio caro Olegario González di Cardedal a questo proposito nel giornale spagnolo Abc, «ma essendo liberi siamo ciò che decidiamo di preferire o evitare... Religiosamente parlando siamo ciò che la nostra missione ci richiede». E la domanda è: a che cosa si sente chiamato Jorge Mario Bergoglio in questo momento decisivo della sua esistenza? Quale immagine si è forgiato del suo invio e dunque della sua missione?

Non abbiamo per adesso più indizi di quelli che egli stesso ci ha offerto: in primo luogo, nella sua apparizione di mercoledì scorso a sera inoltrata. Iniziando dal rimando a Giovanni Paolo II, che era stato chiamato “da lontano” dagli elettori: così l’aveva descritto Karol Wojtyła da quella stessa loggia durante quel tramonto in un mondo ormai così lontano dal nostro. Nello stesso modo Francesco: «Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo [il vescovo di Roma] quasi alla fine del mondo... ma siamo qui». Parole pervase dal fatto che il Papa è stato chiamato dal Cono Sud, da quell’America Latina che costituisce il suolo patrio di Paesi emergenti chiamati a occupare il loro posto nella geopolitica mondiale.

In seguito, il ricordo affettuoso vola verso Benedetto XVI, il Papa che nella sera della sua elezione concepì se stesso come un «semplice e umile operaio» nella vigna del Signore. «E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza». Non è casuale la repetizione di un termine che si trova nel nocciolo del Vangelo: fratellanza. Una parola sottolineata dal gesto di chiedere la preghiera di tutti implorando la benedizione dall’alto per il nuovo Papa. Un gesto ribadito da un cenno possente, quello di inchinarsi davanti al popolo di Roma.

Francesco chiuse il suo intervento come l’aveva iniziato, mettendo in rilievo la sua missione di vescovo e perció successore degli Apostoli al servizio della comunità. Perfino in sei occasioni si riferì a se stesso rilevando la sua connessione col popolo di Roma, città della quale è vescovo e dalla quale presiede “nella carità” la Chiesa universale. Procedendo da un gesuita riflessivo e pacato, neanche questa sfumatura ci deve passare inavvertita: implica un’autocomprensione incentrata sul primato delle relazioni.

Ma il pontefice è chiamato a gestire una realtà plurale e universale, dalle molteplici sfaccettature. Le parole, i gesti e i cenni del suo primo intervento ci permettono di presentire un pontificato rivolto verso il rinforzamento dei nessi di fraternità che tessono l’ordito del cristianesimo e ne avviano la missione nel mondo. Se mi si permette di fare la mia scommessa, intuisco che assistiremo a una cura particolare per l’unità delle confessioni cristiane e per il dialogo ecumenico.

Chi vivrà vedrà. Prepariamoci per più novità. In tempi di scarsità intellettuale e immobilità istituzionale ci stiamo abituando infatti a ricevere le più grandi sorprese dal Vaticano.

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Articolo proprio pubblicato nel giornale La verdad di Alicante (16/03/2013), p. 19. Nell’immagine: “Habemus Papam”, fotografia di Catholic Church (England and Wales). Fonte: flickr.com. 

Palabras, gestos y ademanes

























La insólita expectativa ante la fumata bianca del pasado miércoles ha desembocado en una avalancha mundial de análisis, perfiles biográficos y previsiones. Pero lo que llegará a ser el pontificado de Francisco no está escrito. «Nuestro origen nos condiciona», recordaba mi querido Olegario González de Cardedal a este respecto en el diario Abc, «pero, por ser libres, somos lo que decidimos preferir u omitir… Religiosamente hablando, somos lo que nuestra misión nos intima». Y la pregunta es: ¿a qué se siente llamado Jorge Mario Bergoglio en este trance de su existencia? ¿Qué imagen se ha forjado de su propio envío, es decir, de su misión?

No tenemos por ahora más pistas que las ofrecidas por él, en primer lugar, en su aparición ante el mundo, ya avanzada la tarde, el miércoles pasado. Comenzando por el guiño a Juan Pablo II, que había sido llamado “de lejos” por los electores: así lo había descrito Karol Wojtyła, en esa balconada, durante aquel atardecer de un mundo ya tan diferente del nuestro. De igual modo, Francisco: «Parece que mis hermanos cardenales hayan ido a buscarlo [al obispo de Roma] casi al fin del mundo… ¡pero estamos aquí!». Palabras transidas por el hecho de que el Papa haya sido llamado del cono sur: de esa América latina que constituye el suelo nutricio de una población emergente, llamada a ocupar su puesto en la geoestrategia mundial.

A continuación, el recuerdo afectuoso hacia Benedicto XVI, ese Papa que se había concebido a sí mismo como un «simple y humilde obrero en la viña del Señor» en la tarde de su elección. «Y ahora, comencemos este camino: Obispo y pueblo… Un camino de hermandad, de amor, de confianza entre nosotros. Recemos siempre por nosotros, los unos por los otros. Oremos por todo el mundo, para que haya una gran hermandad». No es casual la repetición de un término que se halla en el núcleo del Evangelio: la hermandad. Una palabra subrayada por el gesto consistente en pedir la oración de todos implorando la bendición para el nuevo Papa. Un gesto corroborado por el ademán, enormemente poderoso, de inclinarse ante el pueblo de Roma.

Cerró la intervención como la había iniciado: poniendo de relieve su misión de obispo y, por lo tanto, sucesor de los apóstoles al servicio de la comunidad. Hasta en seis  ocasiones se refirió a sí mismo acentuando su especial nexo con el pueblo de Roma, del que es obispo y desde el que preside “en la caridad” a la Iglesia universal. Proviniendo de un jesuita circunspecto y prudente, tampoco este matiz debe pasar desapercibido: implica una autocomprensión centrada en la pequeña escala.

Pero el pontífice está llamado a gestionar una realidad de múltiples facetas, plural y universal. Las palabras, los gestos y los ademanes de su primera intervención hacen presagiar un Papado vuelto hacia el robustecimiento de los nexos de hermandad que tejen la trama del cristianismo y vertebran su misión en el mundo. Si se me permite avanzar mi propia apuesta, intuyo que asistiremos a un cuidado especial por la unidad de las confesiones cristianas y por el diálogo ecuménico.

Pero ya veremos: preparémonos para más sorpresas. Y es que en tiempos de penuria intelectual e inmovilismo institucional nos estamos acostumbrando a que las alegrías nos vengan desde el Vaticano.

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Artículo propio publicado en el diario La verdad de Alicante (16/03/2013), p. 19. En la imagen: “Habemus Papam”, por Catholic Church (England and Wales). Fuente: flickr.com.