jueves, 6 de marzo de 2025

València, Kaltlufttropfen, Staatsbürgerschaft: Manifest der Dankbarkeit

 

 












València hat eine Regierung und eine Hymne. Die Regierung trägt einen alten und schönen Namen: Generalitat (Allgemeinheit). Seit dem Mittelalter verweist er auf die gemeinsame Sphäre: eine politische Sphäre, die von Prinzipien geprägt ist, die alle ihre Mitglieder betreffen und die zum Gemeinwohl zurückkehren müssen. Die Generalitat muss die Heimat aller sein.

Die Hymne fängt diesen Geist in schönen Versen ein: „Tots a una veu, / germans, vingau / Ja en el taller / i en el camp remoregen / càntics d’amor, / himnes de pau“ („Alle mit einer Stimme, / Brüder, kommt / Schon in der Werkstatt / und auf dem Feld erklingen / Gesänge der Liebe, / Hymnen des Friedens“). Die Sehnsucht nach Gemeinsamkeit wird zu Musik und führt zum Frieden: Nur der Frieden schafft die Rahmenbedingung, in der jeder einzelne Mensch in einer Gesellschaft so leben kann, wie er es für wert erachtet. Deshalb und trotz allem wird sich der Friede seinen Weg bahnen; und wir können behaupten, so Kant, dass dies mehr ist als eine tröstliche Träumerei.

Am ersten Wochenende nach der Katastrophe in València gehörte ich zu einer der Gruppen von Freiwilligen, die in dem betroffenen Gebiet tätig waren. Von der Generalitat einberufen, waren wir bereits gegen neun Uhr in einem der Dörfer. Die kurze Busfahrt – weniger als eine Viertelstunde – führte von der futuristischen Umgebung der Stadt der Künste und der Wissenschaften zu trostlosen Straßen, versunken im Schlamm und gespickt voll mit nutzlos gewordenen Gegenständen. Die Umleitung des Flusses Túria, die am Ende der 1960er Jahre vorgenommen worden war, bewirkte, dass die Hauptstadt eine reißende Sturzflut, die für ihre orkanartige Zerstörungskraft ungewöhnlich war, unbeschadet überstand. Die südlichen Dörfer jedoch trugen die Hauptlast an menschlichen und materiellen Verlusten.

Wir waren den ganzen Vormittag in einer Straße und hatten eine ganz einfache Aufgabe: Schlamm und Müll zu entfernen. Es war eine arbeitswillige Gruppe. Nach kurzer Orientierungslosigkeit nahm jeder seinen Platz ein: die einen mit Besen, die anderen mit Schaufeln oder Eimern; dann führte jeder seine Aufgabe in der Müllsammelkette aus. Es ist beeindruckend zu sehen, wie sich menschliche Gruppen selbst organisieren, in einer Art spontaner Anpassung, die in unserer biologisch-evolutionären Geschichte ihre Wurzeln hat.

Aber es war etwas anderes, das meine Aufmerksamkeit erregte. In der Gruppe gab es viele verschiedene Akzente, aus unterschiedlichen Regionen und Ländern.

Auf der Rückfahrt habe ich alle Teilnehmer nach ihrer Herkunft gefragt. Zu meiner Überraschung kam weniger als die Hälfte (27) aus València. Die übrigen 31 kamen aus anderen spanischen autonomen Gemeinschaften (4) und ebenso viele (27) aus anderen Ländern. Aus vielen Ländern. In alphabetischer Reihenfolge kamen sie aus Bolivien, Brasilien, Ecuador, Frankreich, Italien, Kolumbien, Mexiko, Österreich, Paraguay, dem Vereinigten Königreich, den Vereinigten Staaten, der Türkei, der Ukraine, Venezuela und Weißrussland. In diesem Bus – mit nur 58 Fahrgästen – saßen Menschen aus sechzehn Ländern: eine kleine UNO!

Auf dem Heimweg, in der Nähe des Wissenschaftsmuseums, unterhielt ich mich mit einer Familie kolumbianischer Herkunft, einer Mutter mit drei Kindern, die ebenfalls im Bus saß. Die Mutter kam vor zwanzig Jahren mit zwei Kindern hierher, die Tochter wurde hier geboren. Einer der Söhne sagte mir mit einem breiten Lächeln: „València ist unser Zuhause. Wir leben gerne hier. Wir wollen auf jede erdenkliche Weise helfen“.

Und so ist die Generalitat zu einem Ort geworden, an dem viele Menschen aus der Ferne willkommen sind. Zu denjenigen, an die der Hymnus heute gerichtet ist, gehören Menschen mit unterschiedlichen Akzenten, unterschiedlicher Hautfarbe und unterschiedlichem kulturellen Hintergrund. Und sie waren da und sammelten Schlamm von einer Straße auf, zu der sie wahrscheinlich nie mehr zurückkehren würden, und sie taten es, ohne etwas dafür zu bekommen: gratis et amore.

In einer Zeit schwerwiegender internationaler Konflikte, eines Rückschritts in der demokratischen Entwicklung in nicht wenigen Ländern, einer Stagnation im Kampf gegen die Armut und angesichts historischer Herausforderungen wie dem Klimawandel, gibt es vieles, was uns eint. Dieser Bus, der an einem Novembermorgen eine Handvoll Menschen zusammenbrachte, zeigt eine dauerhafte Veränderung in der Gestaltung unserer Gesellschaften. Ihre Botschaft erklingt mit einer Stimme in den unterschiedlichen und schönen Akzenten der Orte, an denen wir geboren wurden. Und dieser Artikel wird zu einem Manifest der Dankbarkeit.


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Dies ist die deutsche Fassung eines Artikels, der am 13. November in der spanischen Zeitung Levante veröffentlicht wurde. Der Autor dankt Valérie Lawitschka für die Überprüfung des Textes.

València: manifesto di gratitudine

 


 















València ha un governo e un inno. Il governo ha un nome antico e bello: Generalitat. Fin dal Medioevo, allude alla sfera comune: una sfera politica governata da principi che riguardano tutti i suoi membri e che devono tornare al loro bene. La Generalitat deve essere la casa di tutti.

L’inno cattura questo spirito in bellissimi versi: “Tots a una veu, / germans, vingau / Ja en el taller / i en el camp remoregen / càntics d’amor, / himnes de pau” (“Tutti a una voce, / fratelli, venite. / Già nell’officina / e in campagna risuonano / cantici d’amore, / inni di pace”). Eleva a musica il desiderio di comunanza e sottolinea l’aspirazione alla pace: soltanto la pace è la cornice in cui ogni persona può vivere in società nel modo la cui scelta ha motivi di valutare. Perciò, e nonostante tutto, la pace si farà strada. E possiamo affermare, sottolinea Kant, che questa è più di una fantasticheria consolatoria.

Il primo fine settimana dopo la catastrofe di València, facevo parte di uno dei gruppi di volontari che lavoravano nella zona colpita. Convocati dalla Generalitat, verso le nove eravamo già in uno dei villaggi. Il breve viaggio in autobus – meno di un quarto d’ora – aveva tracciato un percorso straziante dai dintorni futuristici della Città delle Arti e delle Scienze a strade desolate, disseminate di fango e oggetti inutili. La deviazione del fiume Túria, realizzata alla fine degli anni Sessanta, permise alla capitale di uscire indenne da un temporale furioso, insolito per la sua forza distruttiva simile a un uragano. Le città al sud dell’area metropolitana hanno sopportato il peso maggiore in termini di perdite umane e materiali.

Siamo stati lì tutta la mattina, in una unica strada, con un compito molto semplice: rimuovere fango e rifiuti. Era un gruppo volenteroso. Dopo un po’ di disorientamento, ogni membro ha presto preso il suo posto: alcuni con le scope, altri con le pale o i secchi per scaricare; poi, ognuno ha svolto il suo compito nella catena di raccolta dei rifiuti. È bello vedere come i gruppi umani si organizzano, in una sorta di adattamento al volo che affonda le sue radici nella nostra storia biologico-evolutiva.

Ma è stato un altro aspetto a catturare la mia attenzione. Nel gruppo c’erano molti accenti diversi, provenienti da regioni e latitudini diverse.

Durante il viaggio di ritorno, ho chiesto a tutti la loro origine. Con mia sorpresa ho costatato che meno della metà (27) proveniva da València. I restanti 31 provenivano da altre comunità autonome spagnole (4) e, in numero equivalente (27), da altri Paesi. Da molti Paesi. In ordine alfabetico, provenivano da Austria, Bielorussia, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Francia, Italia, Messico, Paraguay, Regno Unito, Stati Uniti, Turchia, Ucraina e Venezuela. Su quell’autobus – appena 58 passeggeri – c’erano persone provenienti da sedici Paesi: una piccola ONU!

Già arrivati, vicino al Museo delle Scienze, ho chiacchierato con una famiglia di origine colombiana – madre e tre figli – che era anche sul pulmino. La madre era arrivata vent’anni fa con due figli; la figlia era nata qui. Uno dei figli mi ha detto, con un grande sorriso: “València è la nostra casa. Ci piace vivere qui. Vogliamo aiutare in ogni modo possibile”.

E così la Generalitat è arrivata ad abbracciare molti che vengono da lontano. I fratelli e le sorelle a cui si rivolge oggi l’inno sono persone con accenti diversi, con colori della pelle diversi, con retroterra culturali diversi. Ed eccoli lì, a raccogliere fango da una strada in cui probabilmente non torneranno mai più, e a farlo senza ricevere nulla in cambio: gratis et amore.

In un momento di gravi conflitti internazionali, di arretramento della salute democratica di non pochi Paesi, di stagnazione nella lotta contro la povertà e di fronte a sfide storiche come il cambiamento climatico, c’è molto che ci unisce. Quell’autobus, che ha riunito una manciata di persone in una mattina di novembre, mostra un cambiamento duraturo nella forma delle nostre società. Il suo messaggio, ad una sola voce, risuona nei diversi e begli accenti dei luoghi in cui siamo nati. E quest’articolo diventa un manifesto di gratitudine.


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Articulo pubblicato il 20 dicembre 2024 sulla rivista Confronti (Roma). Per la revisione della sua traduzione all’italiano, l’autore ringrazia vivamente Laura Pisa
L'originale apparse il 13 novembre sul quotidiano spagnolo Levante. Immagine: opera di Antonio Muñoz Degraín dipinta fra gli anni 1912 e 1913 e conservata nel Museo delle Belle Arti di València: "Amore di madre".